Introspezione
Algot osservò la devastazione che lo circondava, strinse inconsciamente le ali attorno alle spalle, mentre sentiva la corta peluria del suo corpo alzarsi come se fosse stato colpito da un'improvvisa brezza gelida. Inconsciamente cerco con la mano sinistra la familiare elsa del suo stocco, poi tocco quella di Radiance, non gli era capitato spesso di portare due armi al fianco ma ci aveva fatto facilmente l'abitudine.
Finalmente era di nuovo all'aperto, ma gli sembrava di guardare il mondo dal fondo di un pozzo, circondato da inscalabili pareti di malvagità. Cosa ci faceva di nuovo a Kenabres? Quella città l'aveva ripudiato, così come aveva fatto la gente di Sull, il suo posto non era certamente ne li sotto ne qui sopra.
Eppure era li, indossava una cotta di maglia strappata ad un nemico dove aveva a forza ricavato delle fessure per le sue ali, braccato da paladini e in procinto di affrontare un'orda di demoni. Si guardo intorno, il gruppo che lo circondava non lo faceva certo sentire a casa, e difficilmente avrebbe dato le spalle ad Anevia se fossero stati soli, se quell'Horgus li avesse avuto un minimo di fegato si sarebbe guardato anche da lui. Per quanto quella banda fosse abbastanza inadatta a fronteggiare un esercito - anche con il supporto degli uomini di Sull e di un po' di paladini racimolati in giro - si accorse che non era la prospettiva di una sconfitta a preoccuparlo, ma di una vittoria. Cosa avrebbe fatto dopo? Con chi avrebbe festeggiato, per chi stava combattendo?
Certo, combatteva per ciò che era giusto, ma se lo meritavano davvero di vincere? Ripensò al paladino che aveva incontrato poco prima, davvero quell'uomo che voleva ammazzarlo si meritava che Algot Kalgax rischiasse la vita per salvarlo? E quelli del villaggio di Sull, anche se avessero vinto avrebbero ricevuto al massimo un freddo ringraziamento formale. Eppure anche loro erano pronti a rischiare.
Si rese conto che non gli importava, non gli importava di morire li, non gli importava che Sull, Lann e gli altri fossero trucidati, non gli importava dei demoni e della crociata. Eppure andava avanti, ripensò a suo padre: era lui che gli aveva inculcato tutte quelle strambe idee in testa, ed ora non riusciva a fermarsi, non riusciva a pensare a se stesso, un tiefling furbo avrebbe tagliato la corda, venduto Radiance e sarebbe andato a sud, al caldo e al sicuro, ma lui no, si sentiva come se stesse correndo in discesa, sapeva che sarebbe inciampato a momenti ma più prendeva velocità meno riusciva a fermarsi.
Gli sarebbe piaciuto pensare a se stesso, per una volta nella vita, provò ad immaginarsi in una pacifica fattoria, in un bar di un'affollata città in pace a bere e cantare, in una lussuosa stanza da letto circondato da bellissime elfe. Ma niente. Tutte quelle visioni non lo attiravano, sapeva che si sarebbe sentito fuori posto in ognuno di quei luoghi.
Era inutile continuare a pensarci, sapeva già cos'avrebbe fatto, avrebbe fatto la cosa giusta. Non per qualcuno da salvare, non per un ideale, ma perché era l'unica cosa capace di fare, si compiatì, adesso toccava a lui, il povero tiefling sfigato a cui mancava un pezzo, se avesse avuto un minimo di amor proprio avrebbe trovato una prospettiva allettante in tutto quello, qualcuno per cui vivere, qualcuno per cui morire, un sogno, un ideale un desiderio. E invece era li, pronto a sfidare un esercito mosso solo dall'inerzia. Ma era davvero così o c'era dell'altro?
Cerco di scacciare i pensieri dalla testa, era meglio scambiare due chiacchiere con qualcuno, si guardo intorno, vicino a lui camminava Arotrias, non ci penso neanche per un secondo, abbreviò il passo, finché i nani non lo raggiunsero: "Mastro Murtak, permettete una domanda? Dite che si può far niente per questa cotta di maglia? Lo squarciata per farci passare le mie ali, non credo di averne compresso la funzionalità, ma di certo non è troppo comoda così..."