NdA (Note di Alek):
1) Il linguaggio è mantenuto volutamente più garbato di quello che normalmente userebbe Hemmet per venire incontro alle esigenze di un forum pubblico.
2) Vista la mole di materiale completerò la lettera in più riprese. Stay Tuned.
Al di la degli eventi della notte la mente e il cuore di Hemmet Brown ritornano continuamente ai propri amici abbandonati. Lo consola il fatto di averli abbandonati ad un destino migliore di quanto sarebbe capitato loro restando assieme. Oscar potrà ricevere delle cure (sperando che possa essere ancora recuperabile) e la fanciulla potrà avere più speranze di tornare a casa con l’aiuto della polizia.
Cose più urgenti però richiedono la sua attenzione. L’ispettore di certo non diramerà un mandato di cattura nei loro confronti prima di qualche giorno però meglio fare in fretta a recuperare tutta la roba nascosta in varie banche della city (per non parlare del manufatto nascosto nei magazzini) e dileguarsi.
Fortunatamente però riesce a ritagliarsi alcuni momenti liberi tra i preparativi per la partenza e la lettura dell’empio libro per scrivere una lettera.
Lettera
“Caro ispettore Barrington,
volevo ringraziarla vivamente per molte cose. Per aver creduto in noi. Per l’aiuto che darà ai nostri amici e per l’aiuto che ha dato a noi in una situazione che pensavamo disperata.
Sento quindi doveroso rilasciare la confessione che volevo fare quando la contattai telefonicamente prima di ritrovarmi coinvolto in una messa nera.
Tutto cominciò alcuni mesi fa (Oh my god, non ricordo nemmeno esattamente quando, sembra una vita fa e forse in effetti lo è ormai) quando seguimmo il nostro amico Norman a casa di Elyas e ci imbattemmo nell’orrore. Alcuni selvaggi con orribili maschere (che scoprimmo più tardi essere paramenti cerimoniali) stavano sventrando con successo il nostro amico (in verità amico di Norman ma in quanto amico di un amico…). Riuscimmo ad interrompere la cosa anche se per Elyas ormai era tardi e a catturare alcuni di questi barbari. Dei mori che poi perirono in carcere senza dire nulla. Il loro capo (che capimmo essere un bianco) però riuscì a fuggire lasciandoci come unico indizio la targa dell’auto. Ancora oggi non sappiamo chi fosse.
Ovviamente volevamo vederci chiaro nella faccenda e raccogliemmo qualche indizio nella camera del nostro amico. L’abisso si era spalancato sotto i nostri piedi.
Elyas stava facendo delle indagini sul caso Carlyle. Penso che lo sappia ma Carlyle era un giovane e facoltoso dandy americano che partecipò ad un tragica spedizione patrocinata dalla Penhew Foundation. Ebbene ricostruendo il lavoro di Elyas, anche grazie ai suoi farneticanti appunti, abbiamo scoperto che l’idea della spedizione fu messa in testa al giovane da una strega ammaliatrice africana che frequentava in quel periodo. L’idea crebbe, alimentata dagli inquietanti libri che descrivevano orride pratiche. Nel corso della nostra indagine contattammo la Miss Carlyle (sorella) che ci ingaggiò per scoprire cosa fosse realmente successo al fratello permettendoci come compenso di comprare i libri dannati.
Con nuovo materiale in mano parlammo con un simpatico docente australiano che probabilmente era una delle ultime persone ad aver visto vivo Elyas. In questo modo scoprimmo che nel corso delle ere passate esistevano tra i primitivi vari culti abominevoli che sembravano mostrare varie similitudini anche se molto distanti tra loro (addirittura su continenti diversi).
Ebbene, mettendo assieme le spiegazioni del professore con gli appunti di Elyas e quanto letto nei vari libri siamo arrivati a credere una cosa tremenda e inquietante.
I vari culti in realtà erano lievi deviazioni dallo stesso culto che prendeva forme e nomi diversi (Bloated woman, Black Pharaos, Vento Nero/Mortale) ma che rimaneva uguale nella sostanza. Ma soprattutto che non era una cosa antica ma veniva praticato anche ai giorni nostri.
Seguendo la scia di questi indizi arrivammo ad una agenzia di import/export che riceveva marce dall’africa e la smistava ad un negozio del quartiere nero di NY.
Purtroppo in quel frangente ci facemmo sfuggire che collaboravamo con la polizia e questo probabilmente portò alla scomparsa dell’ispettore locale (Martin Poole).
Le cose attorno a noi sembravano peggiorare. Qualcuno ci pedinava e in un paio di occasioni fummo aggrediti da gruppi di individui. Decidemmo di passare quindi all’azione e dopo una tranquilla visita presso le JuJu house (il negozio africano di cui sopra) ci tornammo nottetempo trovando cose blasfeme. Orridi simboli incisi sulle pareti di un sotterraneo che portava ad una alcova con tanto di altare dedicato al male. Trovammo paramenti e oggetti sacrileghi di ogni tipo ma venimmo interrotti dai guardiani del posto. Creature senza più vita ne anima che si muovevano come burattini attratti dal nostro sangue. All’epoca cercammo di convincerci che erano solo dementi privati della loro volontà a della parvenza della vita tramite qualche droga ma ora dopo tutto quello che abbiamo visto dubito che la risposta possa essere così semplice. E non era la cosa peggiore. Da un pozzo sentivamo le voci strazianti di molte persone imprigionate e quindi cercammo di liberarle. Solo ora, a distanza di mesi e grazie alla terapia dell’amico Norman, posso trovare il coraggio di descrivere quello che vidi. Un verme/larva albino, grande quanto una casa la cui superficie era butterata da facce agonizzanti e urlanti. Facce di uomini, donne, bambini… tra cui anche l’ispettore Poole. Fuggimmo. Ma fuggimmo veramente lontano. Entro il giorno dopo eravamo su una barca che faceva rotta verso Hong Kong. Non so bene perché andammo li. Probabilmente per via di una foto trovata a casa di Elyas e del nome di uno dei partecipanti ala spedizione Carlyle. Il nome di un morto che però era ancora vivo e magari avrebbe potuto mettere a posto qualche tassello del nostro intricato puzzle. In viaggio scoprimmo che la JuJu era andata a fuoco la stessa notte in cui noi la visitammo ma le nostre (soprattutto la mia) menti non volevano soffermarsi su quella sera che cercavamo anzi di scordare.
Arrivati ad HK alloggiammo nella stessa stanza presa da Elyas (si esatto, stavamo cercando di ripercorrere le tappe del suo studio) e la cosa ci portò ad un pessimo locale della zona. Ancora una volta ci imbattemmo in riferimenti vari ai soliti culti ma pareva ci muovessimo per lo più a casaccio in una zona per noi aliena. Fu infatti il caso probabilmente a guidarci verso un manicomio dove trovammo Roger Carlye. Anche lui come Bradley dichiarato morto ma ritrovato vivo. Vivo in effetti è una parola grossa visto che era ridoto ad un povero demente sbavante che bofonchiava costantemente di essere stato nel vero antico Egitto dei faraoni.
Di nuovo il nostro agire ci ha puniti. Avevamo deciso di tenere per noi la scoperta in modo da avere il tempo di usare le nostre capacità mediche superiori per far rinsavire Carlyle e sapere cosa era successo in Kenya. Però un membro della nostra posse (mi passi il termine da cowboy) decide di fare di testa sua e contattò di nascosto la sorella del redivivo. Ovviamente la cosa non passò inosservata visto che nella notte un commando assaltò il manicomio per impadronirsi di Roger.
Ovviamente le domande ancora ci perseguitano.
Roger era li per tenerlo al sicuro? Per tenerlo prigioniero? Fu portato via da chi lo deteneva o dalla controparte?
Di una cosa siamo certi. Fu colpa di quella telefonata e quindi nostra.
Sfumata ogni speranza scoprire ancora qualcosa ad HK tristemente ci rimettemmo in viaggio alla volta della fumosa e piovosa città della regina.
E a Londra le nostre strade si sono incrociate. Siamo venuti subito da lei appena arrivati, si ricorda? Ovviamente l’incontro ci ha subito messi in allarme. Mr. Gavigan negava con troppo zelo le affermazioni che le fece Elyas. Lo incontrammo nella sua fondazione e la nostra sensazione si rafforzò visti i suoi modi fin troppo artificiosi. Lo tenemmo d’occhio scoprendo che la fondazione aveva un giro losco e trafficava strane merci caricandole su una nave cargo nella zona malfamata dei docks. La manodopera per l’operazione veniva fornita dal Blu Pyramid, un locale nella zona egiziana dove casualmente avvenivano quelle strane morti misteriose. Purtroppo abbiamo supposto che degli Yankee potessero entrare in un club egizio senza firmare la propria condanna a morte e ci siamo sbagliati. Una poveretta ha cercato di comunicare con noi. Il giorno dopo all’appuntamento si sono presentati dei tipacci che hanno cercato di farci la pelle. Fu il giorno in cui scomparve Oscar.
Sulle prime non capimmo che era scomparso. Ci eravamo divisi. Mentre lui andava incontro alla ragazza noi cercavamo di seminare i nostri inseguitori. Ovviamente non riuscimmo ad allontanarci molto e in una zona isolata il confronto diventò inevitabile. Fortunatamente si risolse in nostro favore ma la perdita di tempo ci fece perdere il nostro amico.
Nonostante tutto continuammo gli appostamenti ai docks e riuscimmo a mettere le mani su uno dei carichi destinati alla nave. Si trattava con nostra sorpresa di un manufatto tanto complesso quanto incomprensibile. Il furto comunque forzò la mano di Gavigan che fu costretto ad agire. Lo seguimmo così fino ad un negozietto di spezie gestito dall’arabo (che sospettiamo fosse il capo di Gavigan). Sa di quale negozio sto parlando visto che il giorno dopo ci trovò li a cercare di rianimare Norman. Ucciso, non si sa come, dall’arabo stesso. E tutto mentre in tre lo tenevamo d’occhio fingendo di essere semplici turisti.
In questo modo conoscemmo Mortimer. Con la scusa di recuperare gli effetti personali di Norman (di valore per la nostra indagine) andammo al cimitero per accertarci ancora una volta della morte del nostro amico e per cercarne le cause. La ricerca fu interrotta sul nascere dall’arrivo di un gruppo pesante mente armato che trafugò il corpo e incendiò la piccola abitazione del becchino. Noi ci salvammo uscendo dal retro ma ormai il tempo stringeva le sue spire attorno al nostro collo. Dovevamo muoverci in fretta.
Il desiderio di giustizia, o forse di vendetta, ci portò sotto l’abitazione dell’amministratore della Penhew. Conoscendo i suoi spostamenti ci intrufolammo nella casa impossessandoci delle sue chiavi di scorta. Chiavi che usammo la sera stessa per accedere alla fondazione. L’ufficio di Gavigan come sospettato però non nascondeva nulla di strano, ad eccezione di un passaggio segreto nell’armadio che permetteva di accedere alla stanza espositiva adiacente. Il sarcofago in mostra permanente si rivelò essere la chiusura di un passaggio segreto. Una scala che scendeva nelle viscere dell’inferno.
Al fondo della scala trovammo una singola stanza tanto abominevole che bastarono le sole iscrizioni sulle pareti a far cadere Frank in momentaneo stato catatonico. Li, tra le altre cose indicibili, trovammo due sacchi. Il primo conteneva il corpo della povera ragazza egiziana che dovevamo incontrare, morta e quasi irriconoscibile. Nonostante l’avversione che provavamo in quel momento aprimmo anche il secondo sacco e trovammo la giovane ragazza che lei vide con noi quando venne all’albergo dove alloggiavamo e che ha tratto in salvo dalle segrete. La giovane era viva e apparentemente incolume anche se non capiva una parola di nessuna lingua umana e si comportava in modo strano. L’unica cosa che capimmo fu che durante la sua prigionia venne in contatto con Oscar. Non sappiamo nemmeno se Isetnofret sia il suo nome o una qualche supplica nel suo idioma.
La prendemmo con noi (non potevamo di certo abbandonarla e purtroppo nemmeno portarla alla polizia) nella speranza di poterla in qualche modo aiutare cercando un modo per comunicare. Fuggimmo lasciando aperto il passaggio in modo che venisse ritrovato dalle guardie portando a delle indagini. Ovviamente però i giornali del giorno dopo non riportavano nessuna notizia legata in qualche modo alla Penhew Foundation.
Rimaneva quindi un solo vertice di questo triangolo da toccare. Il Blue Pyramid.
Arrivare al quartiere egiziano fu una vera impresa. Qualcosa nella nebbia (ma sarebbe meglio dire la nebbia stessa) aggredì me e Frank lungo la strada. Riuscimmo comunque a fuggire anche se a costo di gravi danni emotivi. Solo in questo modo in effetti riesco a spiegare il delirio che furono le seguenti ore.
Arrivati al club si creò subito una strana atmosfera. Molti egiziani cercavano di uscire in fretta dal locale per essere sostituiti da altri loro connazionali con facce ancora più losche e truci. Cercammo anche noi di allontanarci, passando dalla cucina e dal retro, ma questi cominciarono ad inseguirci. Ci fu quindi un’esplosione e il gruppo di inseguitori si trasformò in fretta in una massa di forsennati assetati del nostro sangue [NdA: Hungry Mob :D]. La massa cresceva ad ogni istante e ci spingeva per vie sempre più buie e isolate, sempre più lontane dalla salvezza. Riuscimmo ad entrare in un palazzo, a passare su altre strade parallele, a fare svolte lontane da occhi indiscreti e dal rumore ormai assordante. Nonostante tutto però non riuscimmo ad seminare i nostri inseguitori. Erano semplicemente troppi e ci ritrovammo circondati come uno scoglio nel mare che viene sommerso dalla marea nera.
Come ultimo, estremo tentativo cercammo riparo in un palazzo abbandonato ma li trovammo Gavigan ad aspettarci su una scala. Impassibile. Glaciale. Sorrise del nostro odio e ci voltò le spalle lasciandoci in balia di fetide creature nere fatte di tentacoli e ombre.
La voglia di vivere nonostante tutto è una forza incredibile che ci permise di sfuggire alle bestie e continuare ottusamente ad inseguire il loro mandante. Nel frattempo gli egiziani ci incalzavano incuranti degli esseri immondi. Arrivati sul tetto trovammo di nuovo Gavigan. Ma stavolta non era solo. Il suono di molte ali enormi che battevano rendeva risibili le urla della folla ormai quasi su di noi. A Gavigan bastò un gesto e le tenebre calarono su di noi. Quando ci svegliammo eravamo incatenati nei sotterranei del maniero.
Da li la storia è breve e lei già ne conosce una parte. Io, Frank e Mortimer riuscimmo a liberarci. Isetnofret era svenuta e non era prudente muoverla.
Riuscimmo a forzare la porta della cella e a trovare quel poco che rimaneva di Oscar guidati dai suoi deboli vaneggiamenti. L’arabo ci indirizzo verso quella che potrei definire una nuova stanza per le torture. In parte una replica dei sotterranei della Penhew e della JuJu House ma piena delle tracce della sofferenza umana e di strumenti dagli orribili e inequivocabili usi. Prendemmo quello che potevamo per difenderci e per mimetizzarci e partimmo alla ricerca di una via o un mezzo di fuga. La casa sembrava deserta, abbandonata. Non vi era traccia ne di mezzi di fuga ne di modi per liberare i nostri compagni. E alla fine vedemmo la luce. Un bagliore come di tanti fuochi al di la della collina.
Non ha bisogno che le descriva quello che trovammo però le dirò del disgusto e della rabbia che ci assalì. Ormai sapevamo di essere su un’isola e di non avere più vie di scampo. Una cieca determinazione si impossessò di noi e in pochi attimi definimmo il piano. Approfittare della confusione e dell’evidente stato mentale alterato della folla sotto di noi per raggiungere Gavigan e l’arabo per fare più male possibile.
In realtà pensavamo si trattasse di un suicidio. Non immaginavamo realmente di riuscire a portare a termine la nostra “missione”. E grazie a lei siamo ancora qui a poterlo raccontare.
Non dobbiamo poi dimenticarci del caso Shipley. Ne parlo solo ora perché ancora non abbiamo capito come quegli eventi si incastrino con gli altri. Del fatto che le cose siano legate non c’è comunque alcun dubbio.
Shipley era il nome di un pittore londinese mediocre quanto visionario che trovammo tra gli appunti di Elyas. Decidemmo quindi di incontrarlo e lui ci permise di vedere le sue opere. Uscimmo sconvolti dall’esperienza. I quadri rappresentavano in maniera estremamente dettagliata eventi, rituali e aberrazioni narrate nei libri segreti di Carlyle. La precisione era tale che sembrava quasi di veder muovere i protagonisti. Uno poi era un ritratto estremamente fedele di Norman (faccio notare che Norman e Shipley non si erano mai incontrati prima di quel momento) visto dalla finestra del suo studio in America.
Ovviamente la faccenda meritava un approfondimento, quindi cominciammo a seguirlo scoprendo che nella notte si portava a casa delle prostitute. La cosa di per se può sembrare normale se non fosse che non le vedevamo più uscire di casa. La prima volta pensammo di esserci distratti ma la seconda ci avvicinammo ad una finestra e lo trovammo intento a macellare il corpo della donna. Ovviamente ci precipitammo all’interno per fermare la cosa e nella colluttazione che ne seguì il pittore folle restò ucciso cadendo dalle scale.
Non avevamo però ancora fatto i conti con la cosa che lui spacciava per sua madre. La donna ci si avventò addosso con furia omicida e nel mentre cominciò a mutare. La pelle fu sostituita da delle scaglie e al posto di un viso umano ci ritrovammo a fissare gli occhi di un enorme serpente. Per fortuna in quel momento avevo ancora con me il mio amato fucile (che poi mi fu rubato dalla camera d’albergo assieme a molte altre cose) e riuscimmo a sopravvivere. Ancora una volta però eravamo finiti in una stanza segreta piena di libri malvagi, polveri misteriose e simboli satanici. Ma quel che era peggio: la puzza di putrefazione mista a quella di terra umida e calda. Doveva trattarsi della tana del serpente e infatti in dei bidoni trovammo i resti dei suoi pasti preparati con cura dal figlio…. Le prostitute scomparse.
Questo ispettore direi che è più o meno tutto. Spero che non si penta di averci fatti andare via pensando ora che siamo solo dei poveri dementi omicidi. Io ho fiducia in lei e anche se mi sento obbligato a consigliarle di lasciar perdere le indagini per la sua incolumità, spero ardentemente che non lo faccia.
In fede
Hemmet Brown
[Modificato da Korrigan 15/11/2016 19:14]
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